Le pitture di Giovannino Valenza a palazzo Campofranco

PITTURE DI GIOVANNINO VALENZA
Spazio Salvatore Parlato, palazzo Campofranco.
11-19 ottobre 2019


Giovannino Valenza: il Demiurgo è un ibrido.


«Più tardi, quando osai rientrare nella vita, scoprii che la mia dea (la morte) regnava solo a metà. Divideva le cose più grandi e le più piccole con un’antagonista, che voleva la vita. Le forze di attrazione e di repulsione, i poli della terra con le loro correnti, l’alternarsi delle stagioni, il giorno e la notte, il bianco e il nero, non sono che l’espressione di una lotta. Il vero inferno consiste nel fatto che questo doppio gioco contraddittorio si prolunga in noi. L’amore stesso ha il suo centro di gravità “inter feces et urinas”. I momenti più alti possono soggiacere al ridicolo, allo scherno, all’ironia. Il Demiurgo è un ibrido.», (A. Kubin, L’altra parte, gli Adelphi, Milano 2001).
Dall’altra parte delle sue grandi tele, in un piccolissimo studio nel centro storico palermitano, l’artista Giovannino Valenza (Petralia Sottana, 1957) scruta la realtà, addentrandosi nelle viscere della città, dove i contrasti sono più netti, dove il bianco e il nero, il bello e il brutto sono espressioni di un’antica lotta senza esclusione di colpi. La notte è una dimensione temporale che si dilata, invadendo anche lo spazio, prolungando le sue ombre ingombranti sulla superficie sensibile della tela, che diventa schermo di un’umanità decadente, di quella miseria che trasforma anche i momenti più alti della vita in un inferno senza possibilità di redenzione. 
La mostra in corso presso lo Spazio Salvatore Parlato, a Palazzo Campofranco (Palermo), intende ripercorrere la produzione recente dell’artista con quindici tele di grandi e medie dimensioni (2018-2019) e con tre sculture (2000), incarnazione in terracotta delle sue potenti figure pittoriche. 
La pittura è per Giovannino una compagna di vita, sempre presente e soprattutto urgente, unico mezzo attraverso cui fare venire fuori la propria inquietudine, con tutta la forza tipica delle avanguardie storiche dei primi del 1900. Il male dello spirito contemporaneo, la rinuncia dell’uomo alla sua umanità perduta, o per dirla come Bahnsen, il “nulla autocosciente” dell’uomo, sono i temi che attraversano queste pitture dense di materia cromatica e di carica emotiva. Si legge la lezione dei grandi maestri: Picasso, Toulouse-Lautrec, Munch, Kirchner, Grosz, fino ad arrivare ai muralisti messicani con cui condivide la passione per la resa di piedi e mani che, spesso portati in primo piano, assurgono a veri protagonisti.
Tra sacro e profano si dispiegano le visioni allucinate dell’artista, impregnate di quella “palermitudo” che sa di vita e di morte, di eros e thanatos, di “sciarre” di quartiere e odore di mare. Negli interni bui di appartamenti fatiscenti del centro storico, si consumano scene di amore grottesche (Il bacio), lascive riunioni muliebri (Il culo), eredi disincantate delle bagnanti di Ingres e delle demoiselles di Picasso, purgatori domestici in cui alcol e droga accendono le fiamme dell’inferno che si propaga dal copridivano (Fatti loro). Tra il trambusto di sparatorie e improvvisi blitz della polizia, tra prospettive ardite e colori innaturali, lui, l’artista, se ne sta seduto sul divano, con i suoi grandi piedi ben ancorati al pavimento, a contemplare un pesce sanguinante, in una trasposizione profana, e altrettanto densa di pathos, di una sacra deposizione (Autoritratto). 
E se in Munch il tramonto sul fiordo provocò l’Urschrei, l’urlo primordiale espressionista, in Giovannino Valenza il tramonto provoca un’altra reazione psicosomatica e altrettanto espressionista (Il Vomito), quando il verde acido del paesaggio interiorizzato viene fuori, con violenza, dalla bocca.
Le visioni sacre del Valenza nascono dalle origini, da quel “demiurgo ibrido” che oltre alla Eva di Adamo volle creare anche Evo, in piedi davanti alla tentazione del peccato con la sua doppia sessualità. E se nel dipinto, ad essere taglienti sono i colori, nella scultura lignea con lo stesso soggetto, sono i lineamenti, i tratti esotici, mentre il braccio monco, le unghia di mano e piedi smaltate di rosso, e le “tappine” di stoffa la/o incoronano nel suo regno di mezzo, tra uomo e donna, tra legenda antica e realtà consunta, tra arcaico e contemporaneo. Evo apre la strada alle epifanie di santi (Sant’Antonino, Santo Onofrio piluso), e fa da contraltare a colei che porta il peso della rovina del mondo, la Addoloratissima. La sua composizione piramidale amplifica la percezione di un’emozione crescente che dal piede scivola sul manto nero, si accende sul cuore trafitto da sette spade, ci viene incontro attraverso le grandi mani supplici, e si condensa infine nella forza struggente degli occhi. L’origine del male sta lì davanti a lei, nella brutalità degli esecutori della Crocifissione, deformati dalla crudeltà dei loro gesti, mentre un Cristo verde e sanguinante si rannicchia su una croce troppo corta, diagonale di una composizione che continua oltre la superficie della tela, oltre il fatto storico, nelle nostre vite, chiamate non soltanto ad assistere ma a partecipare attivamente alle sorti dell’umanità.

Valentina Di Miceli

Inaugurazione della mostra




  • Articolo e intervista video pubblicati su il Sicilia.it, quotidiano di informazione indipendente

http://www.ilsicilia.it/arte-allo-spazio-parlato-la-palermitudo-di-giovanni-valenza-video-intervista/

  • Sequenza video di immagini della mostra di Giovannino Valenza, a cura di Alfonso Leto:

“La strepitosa mostra di opere inedite di Giovannino Valenza [il suo riconoscibile sguardo di impertinente verità sul genere umano mutuato da un inconfondibile e spericolato genio pittorico a cui sembra ‘si possa chiedere tutto’ e che oggi si ripresenta in questa mostra con rinnovata, giovanile vitalità]”

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  • Giornale di Sicilia: articolo di Martedì 15 Ottobre 2019